Un Attacco di Panico è costituito da una situazione specifica, durante la quale si registra l’insorgenza improvvisa di intensa paura, associata con una sensazione di catastrofe o morte imminente. Sono percepiti, dal paziente, durante l’episodio di panico, marcati sintomi fisici, quali dispnea, palpitazioni, dolore o fastidio al petto, nausea o impulso di vomitare. Un attacco di panico differisce da una crisi di ansia per il fatto che, in questo secondo caso, il paziente riconosce di stare esperendo intenso disagio, ma non di essere in pericolo di vita; nella condizione di panico, invece, la persona crede realmente di esser in punto di morte. Un’altra importante differenza, tra ansia e panico, è che la prima costituisce, quasi sempre, la risposta a minacce esterne ed attiva la fuga o l’attacco, il panico, invece, viene innescato da alterate percezioni delle attività vitali, ritenute prodromiche di problemi cardiaci, infarto e morte e si associa a processi di derealizzazione e depersonalizzazione (Scrimali, Alaimo, Grasso 2007).
Poiché l’attacco di panico costituisce una vera e propria esperienza traumatica, esso lascia, dopo ogni episodio, una intensa e persistente traccia nelle memorie emotive, attivando la preoccupazione continua ed assillante che, in qualsiasi momento, un altro episodio possa ripresentarsi. Il paziente, dunque, inizia ad esibire una condizione di preoccupazione, sempre più presente e penosa, di poter stare male e, pertanto, il quadro si complica presto con l’agorafobia, ossia il soggetto cerca di non allontanarsi da casa e dai luoghi noti, nei quali crede di poter ricevere aiuto e sostegno. Sviluppa, così, una marcata dipendenza relazionale, nel senso che chiede insistentemente di non restare da solo, ma di essere sempre accompagnato e supportato da qualcuno che consideri rassicurante.
Le Neuroscienze forniscono, oggi, sufficienti evidenze per lo sviluppo di una concettualizzazione psicobiologica del Disturbo di Panico. Una delle strutture cerebrali, maggiormente coinvolte nell’attacco di panico, è la porzione dorsale della materia grigia periacqueduttale, un sistema neuronale arcaico, allocato nel mesencefalo. La stimolazione elettrica di questo sistema, attuata mediante microelettrodi, può produrre, infatti, sintomi molto simili agli attacchi di panico, con sentimenti di terrore e morte imminente, accompagnati da aumento della frequenza cardiaca e dolore diffuso al viso e al torace. Importante è considerato anche il ruolo di una struttura denominata lobo dell’insula che è coinvolta nella elaborazione delle informazioni provenienti dai sistemi vitali dell’organismo. L’insula è costituita da una porzione della corteccia cerebrale che si trova all’interno della scissura che separa il lobo temporale da quello frontale. Non ancora chiarito risulta il ruolo dell’amigdala, importante in altri disturbi d’ansia, ma che non sempre è stata trovata iperattiva nel Disturbo di Panico (Goodkind, Etkin, 2018).
Importante, per la comprensione del Disturbo di Panico, sono i contributi forniti dalla Teoria dell’Attaccamento che studia come l’accudimento, che ogni essere umano ha ricevuto, nel periodo evolutivo della propria vita, possa determinare l’organizzazione dei processi della sua mente (Bowlby, 1988). I soggetti che esibiscono il Disturbo di Panico, secondo la Teoria dell’Attaccamento, nel corso della propria storia di sviluppo, avrebbero ricevuto accudimento da genitori, o da altri caregivers, eccessivamente emotivi, apprensivi e controllanti. In tal modo, hanno sviluppato la convinzione profonda di essere fragili e vulnerabili, nonché di potersi facilmente ammalare, o, anche, morire, per un malore improvviso (Guidano, Liotti, 1983).
In psicoterapia questi pazienti ricostruiscono spesso ricordi della madre che diceva loro: Non correre che sudi! Senti come ti batte forte il cuore! Sei troppo accaldato! Guarda come stai respirando! Ansimi, quasi!-.
Io stesso, essendo nato e vissuto in Sicilia, terra notoriamente piuttosto calda d’estate, mi ricordo che ero sistematicamente terrorizzato da mia madre con frasi del genere: -Non sudare troppo perché poi il sudore ti gela addosso e ti ammali!-. Quindi, purtroppo, quando giocavo in strada, sotto casa, in una stradina della parte storica di Enna, ancora acciottolata, esattamente come un’antica strada romana, io, perfettamente a mio agio, col nome latino di Tullio, me la vedevo piombare addosso con asciugamano, canottiera di ricambio, e borotalco. Dopo il “trattamento” mi lasciava bianco, peggio di uno zombie, e profumato di talco, come una viola mammola, mentre, intanto, i miei compagni avevano concluso la partita senza di me! Insomma, mia madre costruiva nella mia mente la convinzione che sudare non fosse una benefica funzione fisiologica, indispensabile ad assicurare la omeostasi termica, ma una minacciosa avvisaglia di misteriose e terribili malattie! Per mia fortuna, non esibivo affatto la vulnerabilità biologica né l’inclinazione a divenire un fobico! Infatti, non basta un parenting disfunzionale a creare il disagio psichico, occorre anche la presenza di altri fattori, tra cui, importantissima, la vulnerabilità biologica.
Senza rendersene conto, le persone, che poi svilupperanno gli attacchi di panico, in ogni momento, attivano il cosiddetto “body-scanning” ossia, una sorta di monitoraggio, assillante ed ossessivo, dello stato somatico. Qualsiasi informazione di modifica delle condizioni fisiche, quale, per esempio, una innocua extrasistole o un leggero incremento della frequenza cardiaca, o un lieve fastidio, in sede retrosternale, dovuto, magari, a cattiva digestione, viene percepito e codificato come un infarto che stia arrivando. Da cui la coerente affermazione di un mio paziente fobico:-La masturbazione costituisce un pericolo di morte!- Cercando di analizzare, per poi ristrutturarla, tale convinzione disfunzionale, utilizzando il dialogo socratico, siamo arrivati al seguente, coerente, ma assurdo sillogismo, ben radicato nella mente di quel paziente: – Quando mi masturbo sento che il cuore accelera, specie se raggiungo l’orgasmo. Un incremento della frequenza cardiaca costituisce il prodromo minaccioso di un problema cardiocircolatorio, magari un infarto, dunque, la masturbazione provoca l’infarto!-
Il paziente, quando percepisce una anomalia qualsiasi, di un processo vitale, prova ansia e diviene subito vittima di un circolo vizioso, dal momento che l’ansia provoca iperpnea, sudorazione, tachicardia, blocco della digestione, con possibile nausea, che vengono percepiti come conferma di un infarto in arrivo. Egli si sente veramente in pericolo di vita e, quindi, si attiva il panico che, come abbiamo visto, è connesso alla paura di morire. Quasi sempre il comportamento emesso dal soggetto è quello di recarsi al più vicino presidio di pronto soccorso per chiedere aiuto, nella convinzione di essere veramente in procinto di congedarsi, drammaticamente, dalla vita.
Il Disturbo di Panico è abbastanza frequente, con un tasso stimato di prevalenza di circa il 9% e si presenta spesso in concomitanza con altri disturbi d’ansia e con una serie di disturbi mentali, come la depressione e il disturbo da uso di sostanze.
Da quando, negli anni Ottanta, il Disturbo di Panico è stato inserito nel DSM III, ossia la terza edizione del manuale statunitense per la classificazione dei disturbi mentali, si è sviluppato un grandissimo business che ha visto, abile protagonista, la grande azienda farmaceutica statunitense Upjohn, molto tempestiva nel presentare, contestualmente, una sua nuova benzodiazepina, l’alprazolam, recante, nel foglietto ilustrativo, come prima indicazione, “Disturbo da Attacchi di Panico”. Subito dopo, grazie ad una martellante e disinvolta campagna di marketing sanitario, face credere che Xanax costituisse una terapia specifica per il Disturbo di Panico. Con il nome commerciale di Xanax, e sulle ali della colonizzazione culturale e scientifica del mondo Occidentale, da parte degli USA, attuata anche mediante il manuale statistico e diagnostico, dei disturbi mentali, denominato DSM, si è fatto credere, ai medici ed ai pazienti di tutto il mondo, che lo Xanax fosse la terapia, specifica e idonea, per il Disturbo di Panico. A tutt’oggi lo Xanax è il prodotto più prescritto da medici di base e specialisti e ritenuto, con acritica fiducia, un trattamento efficace di questa patologia.
Le cose, però, non stanno affatto così. L’alprazolam, e cioè lo Xanax, non costituiscono affatto un trattamento adeguato del Disturbo di Panico ma solo una terapia, sintomatica, non sempre efficace, e tampoco, accettata, dal paziente. Il soggetto, che assume Xanax, sarà sedato,certo, e, magari, non esperirà crisi di panico, per un certo periodo di tempo, ma, appena sospenderà il trattamento, gli attacchi di panico torneranno a presentarsi, più violenti e frustranti di prima. Ciò perchè rimane immodificato l’asset cognitivo disfunzionale della mente del paziente, basato sulla presunzione di estrema vulnerabilità fisica e le turbe dello human information processing, focalizzato, compulsivamente, sul body scanning.
Chiariamo subito, quindi, che la cura del Disturbo di Panico deve essere soprattutto psicoterapica e di orientamento cognitivo; si può impiegare, perdipiù, nel contesto della psicoterapia, una qualsiasi benzodiazepina e non necessariamente l’alprazolam e, comunque, solamente come strumento, provvisorio e momentaneo, di gestione del panico.
Nell’ambito dei miei studi, sul trattamento del disagio psichico e della integrazione complessa tra psicoterapia cognitiva e trattamenti farmacologici, ho sviluppato un originale ed innovativo approccio al trattamento del Disturbo di Panico (Scrimali, 2008).
Il paziente riceverà, a breve termine, una prescrizione farmacologica da assumere quotidianamente, in modo sistematico, per ridurre l’ansia di base e far decrescere significativamente la probabilità che si verifichi un attacco di panico. Tuttavia, dovrà imparare, soprattutto, ad interrompere il body scanning compulsivo, e, nel caso in cui l’ansia si presentasse, riuscirà a regolarla, senza arrivare al terrore ed alla conseguente perdita di controllo. Ciò viene realizzato, nei nostri Centri Clinici ALETEIA, attuando training di autocontrollo, basati sulla pratica sistematica del biofeedback, attuato con la strumentazione, da me realizzata, e denominata MindLab Set (Scrimali, 2012).
Inoltre, nell’ambito di un protocollo integrato, che ho denominato Dedalo, svolge un ruolo importante la prescrizione,per il paziente, di portare sempre con sé una discoide orosolubile di lorazepam e di scioglierlo sotto la lingua, in caso di prodromi di un attacco di panico. Il paziente, così rassicurato, dal potere fronteggiare, con successo, l’eventuale emergenza, comincia a confrontarsi positivamente con le situazioni che precedentemente provocavano agorafobia e riprende ad esplorare, accettando di allontanarsi da casa, riattivando la normale attitudine di muoversi nell’ambiente esterno.
Negli ultimi anni ho cominciato a studiare il cannabidiolo e, in particolare, il prodotto, da me sviluppato, che ho chiamato NegEnt (da Negative Entropy), a base di cannabidiolo liposomiale nanometrico, per il trattamento del disturbo di panico.
Un recente lavoro di revisione della letteratura scientifica, che ha incluso, sia studi sperimentali, su animali da laboratorio, che clinici, sull’uomo, ha studiato le proprietà antipanico del CBD. Tutti gli studi scientifici, presi in considerazione dalla rassegna, suggeriscono chiaramente un effetto ansiolitico del cannabidiolo, sia negli animali, che negli esseri umani. Sulla base di questa rassegna scientifica, mi è sembrato che il cannabidiolo potesse essere un farmaco promettente per il trattamento del disturbo di panico.
Oltre a ciò, il profilo farmacodinamico del CBD si presenta come particolarmente promettente e idoneo, in questa specifica indicazione. Infatti, il cannabidiolo, a differenza delle benzodiazepine, non esibisce nessuna azione sedativa, ma solo tranquillante. In sostanza, il cannabidiolo “calma senza sedare”. I pazienti, afflitti dal Disturbo di Panico, non sopportano bene la sensazione di rilassamento e sedazione, provocata dalle benzodiazepine, perché attribuiscono ad essa il significato di svenimento, collasso e, comunque, di perdita di controllo. L’impiego del CBD, nei fobici, risulta, pertanto, molto ben accetto, dal momento che non provoca alcuna sensazione somatica negativa che li metterebbe subito in allarme. Oltre a ciò, i fobici sono afflitti dalla convinzione disfunzionale che i rimedi di origine vegetale siano più sicuri e tollerati di quelli di sintesi. Questa convinzione, ovviamente, è infondata e andrà ristrutturata nel corso della psicoterapia. Tuttavia, all’inizio del trattamento, può fare gioco la sua presenza, per favorire l’assunzione del cannabidiolo.
Ho sviluppato, così, un’innovativa modalità di impiego di NegEnt, cannabidiolo liposomiale nanometrico, come trattamento di base, integrato con la psicoterapia cognitiva, da assumere sistematicamente tre volte al giorno, nella misura di 3 gocce sublinguali a colazione e pranzo e 5 prima di andare a letto (Scrimali, 2022).
Ho, altresì, messo a punto di recente, e già positivamente sperimentato, un nuovo dispositivo medico, basato su NegEnt e denominato “egEnt Panic Blocker”.
Si tratta di una dose da 50 mg di NegEnt, inserita in un contenitore ermetico a siringa che il paziente può tenere in tasca, sempre con sé. In caso di avvisaglia di panico, (il paziente viene addestrato, durante la psicoterapia, a riconoscere i primi segnali di allarme) può usare Il “NegEnt Panic Blocker” per deporre sotto la lingua, sulla mucosa buccale, 50 mg di cannabidiolo liposomiale nanometrico, a pronta biodisponibilità, in grado di prevenire l’insorgere della vera e propria crisi si panico. Infatti, il cannabidiolo liposomiale, assorbito attraverso la mucosa buccale, e la vena sublinguale, entra immediatamente in circolo ed agisce in tempi brevissimi. Grazie alla disponibilità di tale nuovo efficace strumento di fronteggiamento, il paziente incrementa il suo senso di padronanza (mastery e coping) e abbandona gradatamente l’evitamento fobico, iniziando, di nuovo, ad esplorare l’ambiente.
Concludendo, NegEnt, cannabidiolo liposomiale, utilizzato in una ottica integrata e complessa, anche come “panic blocker” estemporaneo, nell’ambito di protocolli di psicoterapia cognitivo-comportamentale complessa, sembra poter costituire una nuova terapia innovativa per il Disturbo di Panico, molto efficace e sprovvista di qualunque effetto collaterale. Oltre a ciò, essendo NegEnt in libera vendita, sul web, (www.herbalneurocare.it) come prodotto per Aromaterapia, può essere prescritto e utilizzato anche dai pazienti degli psicoterapeuti laureati in Psicologia, che non possono prescrivere benzodiazepine, né alcun altro psicofarmaco.
Bibliografia
Bowlby, J. (1988). A secure base: Parent-child attachment and healthy human development. London: Routledge.
Goodkind, M.S., Etkin, A. (2018). Functional Neurocircuitry and Neuroimaging Studies of Anxiety Disorders. In: Charney, D.S., Buxbaum, J.D., Sklar, P., Nestler, E.J. (Eds) Neurobiology of Mental Illness. Oxford: Oxford University Press.
Guidano, V.F., Liotti, G. (1983). Cognitive Processes and Emotional Disorders. New York: Guilford Press.
Scrimali, T. (2008). Entropy of Mind and Negative Entropy. London: Karnac Books
Scrimali, T. (2012). Neuroscience-based Cognitive Therapy. Chichester: Wiley
Scrimali, T. (2020). NegEnt: A cannabidiol-based herbal medicine. Theoretical aspects, pharmacology, clinical and research perspectives, economic and social implications. International Journal of Herbal Medicine, 8 (5): 143-151
Scrimali T. (2021). NegEnt. Cannabidiolo liposomiale in medicina umana e veterinaria. ALETEIA Publisher, Enna.
Scrimali, T., Alaimo M., Grasso, F. (2007) Dal sintomo ai processi. L’orientamento costruttivista e complesso in psicodiagnostica. Milano: Franco Angeli Editore.